20/06/2006, 00.00
USA - ISRAELE – VATICANO
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Influente deputato Usa a Bush: chiediamo a Israele di fare l\'accordo con la Santa Sede

di Arieh Cohen

Henry Hyde, presidente della Commissione per i rapporti internazionali della Camera dei deputati, esprime la sua preoccupazione sul mancato progresso delle trattative tra lo Stato ebraico e la Santa Sede per la ricezione dell'Accordo fondamentale e per la conclusione, in esso prevista, di un accordo globale sulle rivendicazioni pendenti riguardanti questioni economiche e beni ecclesiastici.

Tel Aviv (AsiaNews) - Circa un anno dopo la sua lettera all'allora Segretario di Stato statunitense Colin Powell, che ha contribuito al riavvio dei negoziati, prima sospesi da Israele, il presidente della Commissione per i rapporti internazionali della Camera dei deputati, l'on. Henry Hyde, ha scritto al presidente George W. Bush, per sollecitare il sostegno degli Stati Uniti ai negoziati tra la Santa Sede e lo Stato di Israele. L'influente parlamentare, un cattolico devoto, che gode della più alta stima tra i membri del Congresso Usa, confida al Presidente americano, tra l'altro, le sue "preoccupazioni riguardo ai negoziati tra la Santa Sede e lo Stato di Israele", che non decollano.

AsiaNews ha ottenuto da fonte affidabile la lettera che lo statista cattolico invia al presidente Usa, assieme ad un rapporto che tratta, tra l'altro, dell'atteggiamento israeliano verso l'"Accordo fondamentale... lo storico trattato internazionale firmato dalla Santa Sede e dallo Stato di Israele, entrato in vigore nel 1994". Nonostante molti anni siano trascorsi da allora, "l'Accordo non è stato trasformato in legge dalla Knesset [il parlamento israeliano], il che rende impossibile alle istituzione della Chiesa avvalersi delle sue disposizioni presso i tribunali israeliani. Conseguentemente, tali istituzioni risultano indifese".

In più, l'"Accordo fondamentale ... esige un accordo globale su tutte le rivendicazioni pendenti riguardanti questioni economiche e i beni ecclesiastici". Doveva essere raggiunto "entro due anni" dall'entrata in vigore - nel 1994 - dell'Accordo fondamentale. Invece un periodo ben più lungo "è trascorso dall'entrata in vigore [dell'Accordo fondamentale], e ancora l'accordo globale non c'è" sulle importantissime questioni fiscali e di proprietà. Ne consegue, il rapporto osserva, che è "necessario il sostengo politico degli Stati Uniti alla buona riuscita dei negoziati tra la Santa Sede e lo Stato di Israele. E' essenziale che ci sia una risoluzione globale di tutte le questioni pendenti, perché i vari accordi possano essere iscritti nella legislazione israeliana, il che renderà possibile alla Chiesa di accedere alle garanzie giudiziarie nell'ordinamento democratico israeliano, permettendo alle istituzioni cristiane di concentrarsi sul servizio alle loro comunità". A tale scopo, "il neo-eletto Primo Ministro [di Israele] debba assicurare che Israele sia rappresentato ai negoziati da un'équipe munita dei necessari poteri", e che accetti di dedicare "il tempo sufficiente per raggiungere un accordo".

Com'è stato riferito più volte su AsiaNews, i negoziati mirano principalmente a ottenere il riconoscimento da parte di Israele dei diritti posseduti dalla Chiesa Cattolica al momento della creazione dello Stato di Israele, nel 1948, denominati giuridicamente "i diritti esistenti". La stessa risoluzione Onu che autorizzava l'erezione dello Stato ebraico (la 181 del 29 novembre 1947), ordinava al nuovo Stato di non imporre alle istituzioni della Chiesa tasse dalle quali esse erano in quel momento esentate. Israele, però, non ha mai riconosciuto che la Chiesa è in possesso di "diritti esistenti".

Oltre alle questioni fiscali, i negoziati riguardano anche questioni attinenti ai beni ecclesiastici, particolarmente ai luoghi sacri cattolici. Quale elemento essenziale della normalizzazione dei rapporti con lo Stato, la Chiesa rivendica la restituzione di luoghi sacri che le sono stati tolti, compresa la chiesa-santuario di Cesarea marittima - confiscata e rasa al suolo negli anni cinquanta - e l'importante convento (S. Antonio) di suore francescane a Gerusalemme, occupato a partire dal 1948 dall'università nazionale, l'Università ebraica.

Ancor più preoccupante è il pericolo per la proprietà di tutti i luoghi sacri, che nasce dalla legge israeliana, che riserva la giurisdizione in tutte le cause che interessano qualsiasi "edificio o sito religioso" all'esecutivo, e cioè ai politici. Questo significa che il Governo può intervenire a suo arbitrio in qualsiasi causa per negare alla Chiesa il normale accesso alle corti israeliane, per dirimere esso stesso le cause, secondo interessi elettorali o in base a qualsiasi altro criterio che non sia quello del diritto. In materia, la Chiesa non chiede alcun privilegio, ma soltanto che le si garantisca il diritto universale di qualsiasi proprietario, che le cause che lo coinvolgano siano decise dai tribunali e secondo le leggi.

I negoziati su tutte queste questioni sono stati formalmente inaugurati l'11 marzo 1999, e hanno avuto luogo saltuariamente sin d'allora. Secondo quanto ha riferito la stampa, Israele ha ripetutamente cancellato gli appuntamenti presi, ha chiesto lunghi intervalli, e persino si è ritirato completamente il 28 agosto 2003. Poi l'interessamento americano ha aiutato molto a riportare Israele, dopo quasi un anno, al tavolo dei negoziati (anche se le riunioni si sono pure dopo celebrate solo saltuariamente). Con tutto questo - fonti affidabili hanno detto a AsiaNews - non se ne può ancora prevedere il punto d'arrivo. Nel frattempo, i problemi per le istituzioni della Chiesa sono sempre più numerosi - il che spiega l'urgenza del caso accentuata dall'on. Hyde nel rivolgersi al presidente Bush.

Gli americani si sentono decisamente coinvolti, innanzitutto perchè una parte notevole della cittadinanza è di religione cattolica, ma anche perchè i fedeli cattolici statunitensi sono tra i sostenitori più generosi della Chiesa cattolica in Israele, e vogliono perciò assicurare che i loro soldi raggiungano i fini per i quali sono stati donati, e non siano invece assorbiti dalle tasse. Tanto più che si tratta di imposte e tasse, dalle quali le chiese (assieme alle sinagoghe e moschee) in Usa sono esentate, o che comunque vengono escluse dai "diritti esistenti" acquisiti alla Chiesa in tutta la Terra Santa.

E' ora da vedere se, cumulativamente, la grande abilità della diplomazia vaticana, il peso del sostegno americano e l'auspicata nuova impostazione del primo ministro israeliano Olmert e del suo ministro degli Esteri Tzippi Livni riusciranno finalmente a ottenere il già troppo rimandato "accordo globale".

 

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